lunedì 11 maggio 2009

Su una palma artificiale


Sull'ultimo ramo di una palma. Artificiale però. La fermata della metro è il vero capolinea. Oltre quella stazione di vetro e cemento che da lontano appare di plastica i binari finiscono e c'è solo il mare. Il Golfo Persico, o come è indicato nelle carte locali, il Golfo Arabo. Siamo nella punta dell'isola artificiale a forma di palma di fronte la costa di Dubai, uno dei sette Emirati Arabi Uniti. Bisogna però sforzarsi di ricordare la geografia imparata a scuola e richiamare alla mente qualche lettura sul tema per svegliarsi e non cadere nell'illusione di trovarsi nel virtuale.

O in un acquario. Proprio come quello ospitato al centro dell'Hotel Atlantis, il fiore all'occhiello dell'isola-Palma, inaugurato da pochi mesi, e oltre le cinque stelle. Al centro sorge un acquario con pesci di tutte le specie, di tutti i colori, di tutti i mari e forse anche di qualche oceano inesplorato. Alcuni esemplari sembrano venire da marte, altri dalla luna. Come noi visitatori, clienti, passanti che rimaniamo a bocca aperta a guardare tanto blu silenzioso. I "pesci" più interessanti sono però gli esseri che si muovono attorno a me. E mi accorgo di essere a mia volta in un acquario. L'albergo in cui mi trovo ad alloggiare è un mondo a parte, mentre là fuori - spero - c'è la realtà. Prima di poter trovare l'uscita, fluttuo anch'io nell'acquario: come sott'acqua muovo dolcemente le gambe, e su un tapis roulant immaginario passo da corridoio a galleria, da hall a cortile, quando inerte mi accorgo che un tappeto di aragoste mi cammina sopra la testa. Oltre il basso soffitto di vetro trasparente.

M'imbatto in russi e russe ultravitaminizzati e in bermuda, sandali e camice hawaiane, con in mano mille borse di acquisti, in cinesi e bengalesi addetti alla pulizia, in indiani e malesiani a guardia di qualche ala o sezione più protetta, turisti o uomini d'affari inglesi, australiani, anche tre italiani, tedeschi, libanesi, qualche emiratino, lui di bianco e lei di nero, tutti che scivolano in correnti invisibili di shopping, affari, chiacchiere, aperitivi. Qualcuno si ferma di fronte alla statua della hall d'ingresso: un'altissima cascata di colori di perline di vetro, che mi ricorda la forma di un uragano. Atlantis: un mondo che c'è solo nella fantasia. Trovo l'uscita e la realtà: caldo e afa. E scopro che questo caldo ha un suo odore: mi ricorda l'odore disinfettato della sauna, come se qualcuno si divertisse a gettare acqua sulle pietre arroventate. Boccheggio, mi tolgo la giacca, mi arrotolo le maniche della camicia, mi sbottono il collo, supero la prima barriera di cinesi, cingalesi, e malesiani. Oltrepasso la fila di tassisti, sento che vorrei spogliarmi, mi dirigo per istinto verso il mare. Il rumore delle onde è reale. E' lo stesso che ho sempre sentito. Quello dei ricordi, è un'isola di realtà in questo acquario.

La strada è illuminata, il mare no. Non si vede. S'intuisce che c'è dal rumore soffice delle onde sulle pietre frangiflutti. Anche l'acqua sembra intimidita dall'artificialità dell'isola. Proseguo e arrivo alla fine dell'ultimo ramo della "palma": è buio. Il "lungomare" termina dove terminano i lampioni. Avevo l'illusione di trovarmi su un lungomare reale, volevo - ingenuo - raggiungere il "centro cittadino", volevo cercare la vita di Dubai. Trovo una stazione della metro chiusa poco prima del mio arrivo. Un cinese "muto" come i pesci dell'acquario mi fa cenno da dietro la porta di vetro che la stazione chiude alle 22:00. E riapre alle 8:00 - mi mima al di là della barriera che ci divide. E' uno dei primi contatti umani che mi soddisfa: un cinese "muto" sull'ultimo ramo di un'isola artificiale in un mare che noi - con categorie ingiallite come le cartine della mia scuola di un tempo - chiamiamo "Golfo Persico" ma che qui è logicamente percepito come "Arabo".

Mi affloscio su una panchina, reale, che sa però di deodorante. Come l'erba che la circonda. Da una botola verde, troppo pulita per essere un tombino degli scarichi, mi sembra di sentire della musica. Mi sbaglio - penso - e invece no. Non proviene da un festino acido sotterraneo e clandestino, ma è la "melodia di sottofondo del giardino" dell'albergo. Diffusa a basso volume da borchie verdi mimetiche che spuntano tra l'erba. Almeno se si potesse fare all'amore qui - mi dico - forse apprezzerei queste note, tipiche dei film a luci rosse d'un tempo passato. Non ho altra scelta che rituffarmi nell'acquario, da un'altro bocchettone però. Mi inserisco di nuovo sul tappeto semovente e incontro dei visi "normali", che qui sembrano fuori contesto: come delle comparse ribelli di un Truman Show, hanno l'aria di tre lavoratori che hanno "staccato" e che tornano a casa, chissà dove. Non sono asiatici, potrebbero venire dal mio Paese: i pantaloni, i portachiavi, la camicia, la giacca portata a mano, la catenina, i capelli, lo sguardo, la chiacchiera. Mi appiglio a un braccio di realtà e mi torna in mente la mia città. Poi le parole di uno dei pochi esseri umani con cui sono riuscito a conversare.

Si chiama Abdallah Najjar, è un giornalista del primo canale di notizie di Dubai. Incuriosito dal mio vagare a bocca aperta per i canali dell'acquario, mi ha fermato e interrogato. Io ho fatto altrettanto. "Il clima è l'unico neo del nostro Paese", mi ha detto Abdallah dispiaciuto. "Ogni giorno ci svegliamo e troviamo delle sorprese affascinanti: nuovi palazzi, nuove strade, nuove imprese, nuove curve, nuovi esperimenti architettonici, nuovi usi della tecnologia più avanzata... purtroppo fa ancora troppo caldo". Mentre parla, un misto di arabo e di inglese, sorrido pensando che se potessero, qui eliminerebbero artificialmente anche il caldo, creando il clima più gradito.
Poi ho ricordato che proprio a Dubai già esiste una zona, al chiuso, dove si può andare a sciare sulla neve artificiale, anche se fuori si sfiorano i 50 gradi. Abdallah continua a raccontarmi del suo Paese, e io già ero lontano, preso a leggere la pubblicità del "Ibn Battuta Mall", l'ipermercato di Ibn Battuta. Il famoso viaggiatore arabo del XIV secolo di cui per due anni consecutivi all'università ho dovuto tradurre le memorie delle sue affascinanti peripezie. Chi lo avrebbe mai detto? Gli hanno dedicato un mall...


Lorenzo Trombetta
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