giovedì 24 settembre 2009

Roma. La pittura di un Impero

Grandi affreschi, ritratti su legno e su vetro, decorazioni, fregi, vedute, tutti provenienti dalle domus patrizie, dalle abitazioni, dalle botteghe popolari dei più importanti siti archeologici e dai musei di tutto il mondo: le Scuderie del Quirinale, da oggi fino al 17 gennaio 2010, ospitano "La pittura di un Impero", una mostra interamente dedicata alla pittura della Roma antica, nell’allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli.

Curata da Eugenio La Rocca con Serena Ensoli, Stefano Tortorella e con Massimiliano Papini, la mostra racconta il ruolo centrale della pittura nella società civile romana, sottolineandone l'originalità e superando il concetto acquisito di una sua dipendenza passiva dall’arte greca. Ne risulta così evidenziata la linea di sorprendente continuità con la cultura figurativa moderna, a partire dal Rinascimento. Il mondo antico era un mondo colorato, capace di riprodurre eventi storici, mitologici ma anche aspetti della natura e della vita quotidiana, usando realismo e poesia. I monumenti pubblici e le statue erano policromi e i marmi quasi sempre colorati: il bianco era sempre inserito nell’ambito di un complesso gioco cromatico. Sculture e stucchi erano dipinti spesso con incantevole e fresca vivacità: è solo un luogo comune identificare il “classico” con la trasparenza dei marmi bianchi. Il tempo infatti cancella i colori, polverizza il legno, leviga e sottrae, mentre restano la pietra e il marmo sbiancato. Della pittura di decorazione di edifici e ambienti, invece, si è conservato relativamente poco. Così come poco o nulla di quella su legno. E per questo facciamo ancora fatica a pensare il mondo antico come “a colori”.

Nemmeno la scoperta di Pompei e di Ercolano, nella metà del ‘700, ha reso evidente il concetto di colore nell’arte classica. Sotto l’influsso di una lettura “classicistica”, spesso accademica, l’arte antica tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento ha continuato a essere pensata come l’arte delle statue in marmo bianco. Ma quest’idea è lontana dalla realtà storica e, inoltre, per i Romani, come per i Greci, l’arte vera era la pittura, non la scultura: questa esposizione ce lo racconta. La pittura di un Impero è una mostra che documenta e disegna lo sviluppo della pittura romana nei secoli: nata all’insegna di un forte elemento di continuità con l’arte greca e diventata, a sua volta, modello ispiratore per i secoli successivi. E il pubblico potrà rendersi conto di quanto fosse alto il livello qualitativo della pittura romana e, nelle numerose analogie come nelle altrettanto numerose divergenze, potrà capire il rapporto tra l’antico e il moderno, a partire dalle tecniche adottate dalla pittura europea: dal Rinascimento in poi, fino a quelle usate dagli Impressionisti: tutte di evidente derivazione antica. I pittori romani, infatti, come i nostri moderni impressionisti, usavano una pittura rapida, a macchia, giocata su tocchi di colore che sottintendevano una visione ‘distanziata’ perché basata su un’interpretazione soggettiva, e ottica, del vero. Non solo questa tecnica è già presente in epoca romana, ma il livello qualitativo di alcuni affreschi, per la freschezza del loro linguaggio, sembra anticipare soluzioni artistiche del periodo compreso tra il Cinquecento e l’Ottocento.

Sul fronte delle divergenze, invece, si dovrà osservare la diversa concezione spaziale alla base della visione del pittore romano. Scarsamente interessati al sistema di prospettiva lineare a fuoco unico “inventata” dagli architetti italiani nei primi decenni del Quattrocento, i romani distribuivano gli oggetti nello spazio liberamente, senza rigide costrizioni prospettiche. In tal modo non esiste fusione tra spazio e oggetti, che sembrano essere disposti l’uno a fianco dell’altro, o l’uno sopra l’altro, lasciando l’impressione di una certa instabilità dell’immagine.

Scenografie parietali, paesaggi bucolici e agresti, vedute di ville e di santuari rurali popolati da figurine che ricordano i presepi napoletani, vedute di giardini: sono questi i soggetti della prima parte dello mostra, seguiti da una scelta di raffigurazioni pittoriche della mitologia greca. Amore e Psiche, Polifemo e Galatea, Ercole e Telefo, Perseo e Andromeda: alle raffigurazioni di questi personaggi dell’immaginario mitologico greco - che tanta importanza ebbe nella cultura figurativa imperiale romana - si affiancano le bellissime rappresentazioni di aure (le rappresentazioni dei Venti), ninfe, menadi e satiri librati in aria, come sospesi nel vento che muove i loro panneggi, ma anche scene di vita quotidiana, immagini erotiche e nature morte che ne costituiscono la seconda parte.

Un capitolo a parte merita il discorso finale sulla ritrattistica. Per la prima volta in Italia si potranno ammirare, in confronto diretto, alcuni esempi di ritrattistica ad affresco, a mosaico o su vetro, rinvenuti direttamente in Italia, accanto ai più celebrati ritratti a ‘encausto’ (vale a dire a cera fusa su tela di lino o tavola di tiglio) dell’oasi egiziana di El Fayyum. E se l’accostamento è illuminante per documentare la perfetta continuità del genere del ritratto, il visitatore sarà rapito da quegli occhi spalancati, da quella vita profonda e dal senso di enigmaticità che sempre ci tramandano i volti anonimi ritratti di ogni epoca. Questi, ancora più segreti e pieni di mistero perché l’arte romana è un’arte senza nomi.

Era fortissimo, infatti, il disprezzo per coloro che svolgevano attività a base artigianale, e in questa categoria rientravano anche gli scultori e i pittori, dei quali si potevano ammirare le opere ma senza nascondere la scarsa considerazione nei confronti del loro rango sociale. Basti ricordare il caso di quel Gaio Fabio Pittore, nobile di nascita, ricordato da Valerio Massimo per essersi ‘abbassato al ruolo di artista’, uno dei pochissimi nomi a noi pervenuti: buona parte della produzione pittorica romana è composta da capolavori di artisti ignoti.

La mostra delle Scuderie vuole anche ribadire che per “pittura romana” si intende un’arte che va oltre alle testimonianze, sia pure straordinarie, di Pompei ed Ercolano (distrutte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., durante il principato di Tito): è anche l’arte di un Impero fotografata al massimo della sua espansione sotto i regni di Domiziano, Traiano, Adriano e Marco Aurelio. Quando si parla di un’arte dell’impero romano non ci si può limitare al periodo di vita di due città campane: si deve andare fino alle soglie del tardo-antico, all’epoca degli ultimi grandi principi dell’impero romano, Costantino e Teodosio.

Gli oltre cento, straordinari, pezzi di perfetta eleganza e raffinatezza che arrivano dai più importanti siti archeologici e musei del mondo, tra cui il Louvre, il British Museum, gli Staatliche Museen di Berlino, l’Antikensammlung di Monaco, il Liebighaus di Francoforte, il Museo dell’Università di Zurigo, ma anche il Museo Archeologico di Napoli, gli Scavi di Pompei, il Museo Nazionale Romano e i Musei Vaticani, intendono dare un quadro il più ampio possibile della “pittura romana” in un’ottica sapiente, capace di aprire lo sguardo ad un modo più intenso, fresco ed emozionante di guardare l’antico. Questo sguardo fortemente emozionale rivela tutta la sua forza, e il senso del suo mistero, anche grazie all’allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli che, dopo "Cina. Nascita di un Impero", tornano ad occuparsi di una grande mostra alle Scuderie del Quirinale.


Germana Brizzolari

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