giovedì 3 maggio 2012

La Trilogia degli occhiali: Acquasanta a Latina


Emma Dante torna nel Lazio con uno dei tre spettacoli della sua "Trilogia degli occhiali": dopo i successi del Teatro Palladium (Roma), di Milano, Parma, ma anche di Parigi e Calais, sbarca infatti a Latina il 5 maggio con il suo "Acquasanta", con Carmine Maringola. Un teatro fisico, quasi selvaggio, denso di malinconica solitudine, quello dell'autrice palermitana, che ripercorre storie di povertà, vecchiaia e malattia, dove i protagonisti inforcano degli occhiali, vera e propria metafora della difficoltà di vedere il mondo e di immaginare il futuro. 

“Mille cose sai tu, mille discopri, 
che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
Star così muta in sul deserto piano
,che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?”

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
Giacomo Leopardi 

“Aggio visto a barriera corallina… e ‘u sole dirimpetto alla luna ca si lanciavano i raggi, li annodavano e li facevano scennere dintra ‘o mare… aggio visto ‘o mare ca pigliava colore… e un pesce spada ca teneva due spade… e ‘na medusa gigantesca ca s’arravugliava nei raggi d’o sole e d’a luna…. e ‘o pesce palla ca dintra d’isso teneva futuro e passato… aggio visto il polipo arlecchino coi tentacoli ‘i tutti ‘i colori e i pisci tropicali ca ci ballavano sopra e sotto… e il Cristo di Rio, aggio visto, ca si tuffava dal Corcovado, a petto ‘i palomma…. aggio visto l’atro lato d’o munnu…. ‘o Giappone, a ro steveno ‘i pisci cu l’occhi a mandorla…. e un galeone di tre secoli fa, chino ‘i gente che ballava e che cantava i canzoni ‘i n’a vota… e n’iceberg…. enorme… ca si scioglieva in lacrime di cristallo, dintra all’abisso d’o mare….”

Un uomo si ancora sul palcoscenico, a prua di una nave immaginaria. Sta. Esperto nel manovrare gli ingranaggi che muovono la nave, ‘o Spicchiato si salva dalla finta burrasca che mette in scena per rievocare i ricordi della sua vita di mozzo. È imbarcato dall’età di 15 anni e da allora non scende da quella barca. Non crede alla terraferma, per lui è ‘n’illusione. Sopra la sua testa pende il tempo del ricordo. Poi il mare smette di respirare e ‘o Spicchiato rivive l’abbandono. Un giorno la nave salpa senza di lui, lasciandolo solo e povero sul molo di un paese straniero: la terraferma. Proprio lui che giù dalla nave si sente perso, che ha votato la sua vita alla navigazione, che giorno e notte ha bisogno di parlare con il suo unico grande amore: il mare. Le voci della ciurma, del capitano, gli rimbombano nella testa e ‘o Spicchiato, cantastorie, tira i fili dei suoi pupi. Ma a forza di aspettare, il mozzo diventa di legno come polena di un vecchio galeone.

Il secondo dei tre spettacoli che compongono la "Trilogia degli occhiali" della regista siciliana è "Il castello della Zisa", con Claudia Benassi, Stéphanie Taillandier, Onofrio Zummo.


Nulla è cambiato. 
Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze. 
Il gesto delle mani che proteggono il capo 
è rimasto però lo stesso.
Il corpo si torce, si dimena e divincola,
fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,
illividisce, si gonfia, sbava e sanguina. 
Nulla è cambiato. 
Tranne il corso dei fiumi, 
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai. 
Tra questi paesaggi l’animula vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile, 
ora certa, ora incerta della propria esistenza, 
mentre il corpo c’è, e c’è, e c’è 
e non trova riparo. 


Wislawa Szymborska 


Nicola ha gli occhi aperti ma non vede. Vive in un istituto assistito da due donne. La giovane e quella più anziana, tra una preghiera e l’altra lo puliscono, lo sfamano, lo rimproverano e lo stimolano con alcuni giocattoli, lanciandogli palle, palline e hula hoop. In uno stato catatonico, Nicola sta seduto su una piccola sedia, da quando, bambino, fu strappato alla zia dal quartiere popolare della Zisa dove viveva davanti a un favoloso castello... 



In quel castello è rinchiusa la sua infanzia, la sua spensieratezza… dalla mattina alla sera davanti alla finestra se ne stava a contare i diavoli appollaiati sul tetto e a difendere il castello che di notte diventava d’argento cu tutti ‘i stedduzzi che ci facevano da coroncina. Ma un giorno, Nicola, guardiano del castello con la maschera di drago e i guanti di artigli, viene spodestato. Allora s’incanta, per sempre. Siamo noi che gli vediamo alzare gli occhi al cielo, emettere un urlo, quell’urlo imprigionato nel suo corpo, siamo noi che lo sentiamo parlare, raccontare, accendersi di passione. Dura il tempo di un fiammifero questo nostro risveglio.





So che un amore
può diventare bianco
come quando si vede un’alba 
che si credeva perduta. 

Alda Merini 



Chiude la "Trilogia degli occhiali" Ballarini, con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco. In una stanza, una vecchia donna è china su un baule aperto. Si alza con in mano una spina elettrica e una presa; non appena le collega sopra la sua testa si accende il firmamento. Da un altro baule appare un uomo vecchio che la guarda e le sorride amoroso. Lui si avvicina a lei. Lei l’aiuta a indossare la giacca di un vecchio abito da cerimonia. Ballano. Lui con la testa poggiata sulla spalla di lei. Lei aggrappata alla giacca di lui. Si baciano. Lui la tocca. Lei si fa toccare. Lui le strofina la coscia con una gamba. Lei gli tiene la gamba per non fargli perdere l’equilibrio. Lui si sbottona la giacca e poi la patta dei pantaloni. La stringe a sé. Ha un orgasmo. Lei si soffia il naso e si gratta la coscia. Lui estrae dalla giacca un orologio da taschino: meno 5… meno 4… meno 3… meno 2… meno 1… al rintocco della mezzanotte lui fa scoppiare un piccolo petardo. 

Lui e lei si baciano. Lui infila la mano in tasca ed estrae una manciata di coriandoli. Li lancia in aria, festoso. La guarda. Lei lo guarda: “tanti auguri, amore mio.” Lui da un baule tira fuori una bottiglia di spumante. Lei dall’altro baule estrae un velo da sposa e se lo appoggia sulla testa, poi fa suonare un vecchio carillon. Si tolgono la maschera da vecchi, inforcano gli occhiali e riprendono a ballare. Sulle note di vecchie canzoni lui e lei festeggiano l’arrivo di un nuovo anno ballando a ritroso la loro storia d’amore.
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