giovedì 11 settembre 2008

Globalizzazione


Ero a Spalato, ma potevo essere a Rodi o Fontana di Trevi, a Roma. Accanto alle rovine di un palazzo o alle mura costruite secoli fa spiccavano infatti negozi come Intimissimi, Lacoste, Tommy Hilfiger. Oppure terrificanti “China shop” (giuro: nell’insegna c’era scritto così) che vendevano strass, tessutacci lucidi e pizzi. Mostruoso.
Pizzerie e spaghetterie come se piovesse anche quando passeggiavo sotto l’acropoli di Atene. Tavolini all’aperto con menu/fotocopia all’ingresso, imbonitori che invitavano nei propri locali. Un incubo, sempre uguale a se stesso. Mi sarebbe piaciuto passeggiare per le viuzze veneziane di Split e vedere solo costruzioni d’epoca. Possibile che l’economia mondiale si basi sulle stesse conchiglie e tartarughe intagliate e magliettine porno-comiche e occhiali finto-griffati e souvenir “ricordo da…”?
Dove si perde la tradizione culinaria locale? Perché, tornando da un viaggio, non si sa mai raccontare come mangiano veramente gli autoctoni? E le musiche? Nel piccolo pub (appunto) di un’isoletta croata rimbombava l’ultima compilation di Eros Ramazzotti… Ma non c’è un “Cocciante locale”, o almeno sloveno o macedone per intrattenere i turisti?
Lasciateci un pezzo di storia intatto, senza metterci accanto cento stand sul modello dei suk arabi. Ah, Baricco, qui la tua teoria sui barbari (Cfr. Saggio sulla mutazione, Alessandro Baricco, 2006) calza a pennello, anzi la “civiltà dei barbari” è già superata, si è tramutata essa stessa in civiltà tout court: la barbarie è quella di una civiltà ancora successiva, una specie di post-barbarie, dove quel po’ di senso che lasciavano nelle cose i “mutanti” si è perso del tutto. (Ok, per tutti quelli che non hanno letto questo meraviglioso libro, a brevissimo metterò una recensione qui a fianco; intanto leggetelo!).
Hic sunt leones e basta. Senza appello e senza imbellettamenti possibili.

Germana Brizzolari
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