lunedì 2 maggio 2011

Pasolini al concerto del 1° Maggio


Al concertone del 1° maggio, dopo 36 anni da quando quel brano fu scritto dallo scrittore bolognese, l'attrice Anna Bonaiuto ha letto un testo di Pier Paolo Pasolini, estratto da "Perché il processo", pubblicato già sul “Corriere della Sera” il 28 settembre 1975 e poi in "Lettere luterane", per Garzanti. Pasolini morì pochi mesi dopo. Emozione in piazza San Giovanni, a Roma, ma anche davanti ai televisori nell'ascoltare parole che sembrano scritte oggi. Ecco la versione integrale.


«I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto benessere si è speso in tutto fuorché nei servizi pubblici di prima necessità: ospedali, scuole, asili, ospizi, verde pubblico, beni naturali cioè culturali.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta tolleranza si è fatta ancora più profonda la divisione tra Italia Settentrionale e Italia Meridionale, rendendo sempre più, i meridionali, cittadini di seconda qualità.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta civiltà tecnologica si siano compiuti così selvaggi disastri edilizi, urbanistici, paesaggistici, ecologici, abbandonando, sempre selvaggiamente, a se stessa la campagna. 

I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto progresso la “massa”, dal punto di vista umano, si sia così depauperata e degradata.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto laicismo l'unico discorso laico sia stato quello, laido, della televisione (che si è unita alla scuola in una forse irriducibile opera di diseducazione della gente).
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta democratizzazione (è quasi comico il dirlo: se mai “cultura” è stata più accentratrice che la “cultura” diquesti dieci anni) i decentramenti siano serviti unicamente come cinica copertura alle manovre di un vecchio sottogoverno clerico-fascista divenuto meramente mafioso. […]

Un elenco, anche sommario, ma, per quanto é possibile, completo e ragionato, dei fenomeni, cioè delle colpe, non è mai stato fatto. Forse la cosa è considerata insostenibile.
Perché, ai capi di imputazione che ho qui sopra elencato, c'è molto altro da aggiungere – sempre a proposito di ciò che gli italiani vogliono consapevolmente sapere.
Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sifar. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sid. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo della Cia. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la Mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con esso.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti golpe fascisti. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il protto della “strategia della tensione” (prima anticomunista e poi antifascista, indifferentemente). Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi ha creato il caso Valpreda. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono gli esecutori materiali e i mandanti, connazionali, delle stragi di Milano, di Brescia, di Bologna. 

Ma gli italiani – e questo è il nodo della questione – vogliono sapere tutte queste cose insieme: e insieme agli altri potenziali reati col cui elenco ho esordito. Fin che non si sapranno tutte queste cose insieme – e la logica che le connette e le lega in un tutto unico non sarà lasciata alla sola fantasia dei moralisti – la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l'Italia non potrà essere governata […].
Ma se (come mi pare evidente, con immedicabile mortificazione) l'opinione pubblica italiana […] non vuole sapere – o si accontenta di sospettare –, il gioco democratico non è formale: è falso.
Inoltre se la consapevole volontà di sapere dei cittadini italiani non ha la forza di costringere il potere ad autocriticarsi e a smascherarsi – se non altro secondo il modello americano –, ciò significa che il nostro è un ben povero paese: anzi, diciamo pure, un paese miserabile. 

Ci sono inoltre delle cose (e a questo punto continuo, più che mai, nel puro spirito della Stoà) che i cittadini italiani vogliono sapere, pur senza aver formulato con la sufficiente chiarezza, io credo, la loro volontà di sapere: fatto che si verifica là dove il gioco democratico, appunto, è falso; dove tutti giocano con il potere; e dove la cecità dei politici è ormai ben assodata.
Gli italiani vogliono dunque sapere ancora cos'è con precisione la “condizione umana” – politica e sociale – in cui sono stati e sono costretti a vivere quasi come da un cataclisma naturale: prima, alle illusioni nefaste e degradanti del benessere e poi dalle illusioni frustranti, no, non del ritorno della povertà, ma del rientro del benessere. 
Gli italiani vogliono ancora sapere che cos'è, che limiti ha, che futuro prevede, la “nuova cultura”- in senso antropologico – in cui essi vivono come in sogno: una cultura livellatrice, degradante, volgare (specie nell'ultima generazione).

Gli italiani vogliono ancora sapere che cos'è, e come si definisce veramente, il “nuovo tipo di potere” da cui tale cultura si è prodotta: visto che il potere clerico-fascista è tramontato, e ormai esso ad altro non costringe che a «lotte ritardate» (la condanna a morte degli antifranchisti, i rapporti tra la vecchia e la nuova generazione mafiosa nel Mezzogiorno ecc.). 




Gli italiani vogliono ancora sapere, soprattutto, che cos'è e come si definisce il “nuovo modo di produzione” (da cui sono nati quel “nuovo potere” e, quindi, quella “nuova cultura”): se per caso tale “nuovo modo di produzione” – introducendo una nuova qualità di merce e perciò una nuova qualità di umanità – non produca, per la prima volta nella storia, “rapporti sociali immodificabili”: ossia sottratti e negati, una volta per sempre, a ogni possibile forma di “alterità”.

Senza sapere che cosa siano questo “nuovo modo di produzione”, questo “nuovo potere” e questa “nuova cultura”, non si può governare: non si possono prendere decisioni politiche (se non quelle che servono a tirare avanti fino al giorno dopo, come fa Moro). I potenti democristiani che ci hanno governato in questi ultimi dieci anni, non hanno saputo neanche porsi il problema di tale “nuovo modo di produzione”, di tale “nuovo potere” e di tale “nuova cultura”, se non nei meandri del loro Palazzo di pazzi: e continuando a credere di servire il potere istituito clerico-fascista. Ciò li ha portati ai tragici scompensi che hanno ridotto il nostro paese in quello stato, che più volte ho paragonato alle macerie del 1945. 

È questo il vero reato politico di cui i potenti democristiani si sono resi colpevoli: e per cui meriterebbero di essere trascinati in un'aula di tribunale e processati.
Non dico, con questo, che anche altri uomini politici non si siano posti i problemi che non si son posti i sacrestani al potere, o che, come loro, non abbiano saputo risolverli. Anche i comunisti hanno per esempio confuso il tenore di vita dell'operaio con la sua vita, e lo sviluppo col progresso. Ma i comunisti hanno compiuto – se hanno compiuto – degli errori teorici. Essi non erano al governo, non detenevano il potere. Essi non derubavano gli italiani. Sono coloro che si sono assunti delle responsabilità che devono pagare, cari colleghi della “Stampa”, che, sono certo, siete perfettamente d'accordo con me... 

Un'ultima osservazione che mi sembra, del resto, capitale. L'inchiesta sui golpe (Tamburino, Vitalone...), l'inchiesta sulla morte di Pinelli, il processo Valpreda, il processo Freda e Ventura, i vari processi contro i delitti neofascisti... Perché non va avanti niente? Perché tutto è immobile come in un cimitero? È spaventosamente chiaro. Perché tutte queste inchieste e questi processi, una volta condotti a termine, ad altro non porterebbero che al Processo di cui parlo io».
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