mercoledì 12 settembre 2012

Hodja e i poetastri


L’emiro di Akshehir si dilettava a scrivere poesie. Un giorno, mandò a chiamare Nasreddìn Hodja per declamargliene una: «Mi è stato riferito che sei un raffinato uomo di lettere, caro Hodja. Ti sarei veramente grato se tu mi dicessi il tuo sincero parere su questo mio componimento». E Nasreddìn, dopo aver ascoltato in religioso silenzio quei versi, senza peli sulla lingua sentenziò: «La tua poesia, eminentissimo emiro, non vale un fico secco!». 

L’emiro, ovviamente, si adombrò per quelle parole e fece gettare in prigione il povero mullà. All’indomani, dopo una notte scomoda e insonne trascorsa in gattabuia, Nasreddìn fu trascinato di nuovo al cospetto dell’emiro, che sperava, con quel trattamento, di aver ricondotto il mullà a più miti consigli. Gli lesse di nuovo il suo componimento e gli chiese: «Allora, Hodja, che ne pensi dei miei versi?». Nasreddìn girò i tacchi e fece come per congedarsi. «Dove vai?», gli domandò l’emiro. «Torno in prigione», rispose Nasreddìn. 

Angelo Iacovella
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