Ikushima Takumi, Samurai (?-1710)
Ben si addiceva, al mio nobile signore, l’immagine del guerriero parco e riservato: una tazza di miso nelle mani, rughe di giada sulla fronte. Alla cintola, la spada che suo nonno, fondatore della casata, aveva fatto forgiare dai fabbri dell’isolotto di Han. Benché la stuoia sulla quale era solito meditare nelle lunghe ore d’inverno provenisse dalla migliore manifattura del paese, nessuno più di lui rifuggiva da orpelli e ricchezze. In tutta la provincia, i vassalli gli si sottomettevano con la venerazione e l’affetto che si devono a un buon padre di famiglia, e avrebbero sacrificato la vita senza pensarci due volte per difendere i confini della florida terra di Taku dalle orde dei grassatori e dei nemici.
Egli era equanime e inflessibile come un albero di olivo millenario sotto fiocchi di neve, se si trattava di punire i criminali. Quando suo cugino — il debosciato Horie Sanemon — dopo aver derubato i soldi dalle casse del castello, venne acciuffato, confessò subito il reato, nella speranza di poter usufruire della grazia e scontare la pena, magari, nella prigione del palazzo, servito da geishe e concubine. Il mio nobile signore non ebbe esitazioni e dispose che il suo indegno parente venisse prima torturato e poi ucciso nel modo peggiore. Ai più fedeli servitori, tra i quali mi annoveravo anch’io, spettò l’onore di procedere all’esecuzione. Per prima cosa, bruciammo tutti i peli del corpo di Sanemon e gli strappammo le unghie. Indi, lo tagliammo a pezzi e lo mettemmo a bollire nella salsa di soia.
La via del samurai insegna a morire da uomini, mentre l’arte della guerra offre l’occasione al discepolo di mostrarsi all’altezza di apprenderne le regole. Un giorno, sotto bianche nuvole, presso un ciliegio in fiore, incontrai a quattr’occhi il mio maestro e signore. Era il cinque di marzo dell’era Hiei, e tutti i samurai erano già stati informati che sarebbero stati chiamati, di lì a poco, a versare il loro sangue per difendere il regno dalle truppe d’assalto del prode Nabeshima. Dopo essermi prodotto nel saluto rituale, gli chiesi il permesso di potermi recare al santuario di Atago, dove si venera il dio dell’arco e della spada. Impassibile, egli così mi rispose: “E perché mai? Anche qualora le divinità si incarnassero sulla terra per combattere al fianco dei nostri nemici, i soldati dovranno essere pronti a ucciderle o a farsi uccidere. La morte e la vita, per un samurai, sono esattamente la stessa cosa. È la tua mente che ti induce a distinguere l’una dall’altra. Non aver paura di ciò che il fato ti riserva. Non esiste che il momento presente. Pratica, piuttosto, i quattro voti e preparati a un dignitoso combattimento. Assimila il bushido!”.
La via del samurai insegna a morire da uomini, mentre l’arte della guerra offre l’occasione al discepolo di mostrarsi all’altezza di apprenderne le regole. Un giorno, sotto bianche nuvole, presso un ciliegio in fiore, incontrai a quattr’occhi il mio maestro e signore. Era il cinque di marzo dell’era Hiei, e tutti i samurai erano già stati informati che sarebbero stati chiamati, di lì a poco, a versare il loro sangue per difendere il regno dalle truppe d’assalto del prode Nabeshima. Dopo essermi prodotto nel saluto rituale, gli chiesi il permesso di potermi recare al santuario di Atago, dove si venera il dio dell’arco e della spada. Impassibile, egli così mi rispose: “E perché mai? Anche qualora le divinità si incarnassero sulla terra per combattere al fianco dei nostri nemici, i soldati dovranno essere pronti a ucciderle o a farsi uccidere. La morte e la vita, per un samurai, sono esattamente la stessa cosa. È la tua mente che ti induce a distinguere l’una dall’altra. Non aver paura di ciò che il fato ti riserva. Non esiste che il momento presente. Pratica, piuttosto, i quattro voti e preparati a un dignitoso combattimento. Assimila il bushido!”.
Angelo Iacovella