L'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio D'amico presenta il suo saggio di diploma del corso di regia: "Leonce e Lena", spettacolo di Georg Buchner con la regia di Rita De Donato. Sarà in scena fino al 18 dicembre presso il Teatro Studio Eleonora Duse di Roma (via Vittora 6 - ingresso gratuito fino ad esaurimento posti). I protagonisti sono Viola Carinci, Cecilia D’Amico, Luciano Falletta, Alice Pagotto, Marco Palvetti, Remo Stella, Jacopo Uccella.
Leonce, principe ereditario del regno di Popo, per sfuggire al matrimonio con una principessa sconosciuta, decide di fuggire in Italia con il suo amico Valerio. Intanto nel regno di Pipi, la principessa Lena, anch'essa poco desiderosa del matrimonio, fugge egualmente con la sua governante. Lui non vuole rientrare nei ranghi, lei rifiuta un'unione guidata dalla Ragion di Stato. Fughe e destini che si incrociano tra sogno e realtà, in un'atmosfera notturna e fantastica dove si intrecciano il desiderio di amore e quello di morte. L'indomani, senza aver scoperto il loro reciproco legame, tornano nel castello del padre di Leonce dove deve svolgersi il matrimonio, ma…
“Qual è il posto del desiderio, del sogno, dell’ozio, nelle nostre vite? - si chiede la regista De Donato (foto) - Attraverso quali progetti, linee di fuga, conflitti, sottrazioni è possibile dare forma alla propria esistenza? Leonce e Lena è insieme favola, manifesto politico, opera filosofica, atto d’accusa, gioco. E probabilmente molte altre voci si potrebbero aggiungere all’elenco. Lo scenario in cui si muovono i personaggi del testo del giovane scienziato-rivoluzionario Georg Buchner è il doppio, la sovversione, il ribaltamento. La questione centrale è quella dell’identità, della necessità di “darsi una forma” e di come questa si incontri o si scontri con le altre “forme” della società, innanzitutto quella economica, relativa all’accaparrarsi i mezzi per vivere, cioè il lavoro e allo spazio che resta aldilà di esso, cioè la vita. Nel suo rifiuto radicale della cultura del lavoro, Leonce e Lena è anche un’ode al desiderio e alla sua forza trasformativa nelle esistenze individuali e collettive, e un inno al godersi il proprio tempo.
Nel mondo disegnato da Buchner regna sovrana la noia, un potere smemorato si esprime nelle modalità della ripetizione, della piattezza e della sopraffazione. Quale strada si apre allora, se non quella della sottrazione, della fuga verso un altro mondo, verso un’Italia che qui rappresenta un locus amoenus dove si vive per la vita e non per la fatica? La destinazione non verrà raggiunta, ma, muovendosi in un percorso a spirale, i protagonisti giungeranno alla loro meta: un luogo dove poter immaginare, finalmente insieme, un programma in cui “gli orologi vengono distrutti, i calendari proibiti, e chiunque si vanti di guadagnare il proprio pane col sudore della fronte sia dichiarato pazzo pericoloso per la società umana ”.
Leonce, principe ereditario del regno di Popo, per sfuggire al matrimonio con una principessa sconosciuta, decide di fuggire in Italia con il suo amico Valerio. Intanto nel regno di Pipi, la principessa Lena, anch'essa poco desiderosa del matrimonio, fugge egualmente con la sua governante. Lui non vuole rientrare nei ranghi, lei rifiuta un'unione guidata dalla Ragion di Stato. Fughe e destini che si incrociano tra sogno e realtà, in un'atmosfera notturna e fantastica dove si intrecciano il desiderio di amore e quello di morte. L'indomani, senza aver scoperto il loro reciproco legame, tornano nel castello del padre di Leonce dove deve svolgersi il matrimonio, ma…
“Qual è il posto del desiderio, del sogno, dell’ozio, nelle nostre vite? - si chiede la regista De Donato (foto) - Attraverso quali progetti, linee di fuga, conflitti, sottrazioni è possibile dare forma alla propria esistenza? Leonce e Lena è insieme favola, manifesto politico, opera filosofica, atto d’accusa, gioco. E probabilmente molte altre voci si potrebbero aggiungere all’elenco. Lo scenario in cui si muovono i personaggi del testo del giovane scienziato-rivoluzionario Georg Buchner è il doppio, la sovversione, il ribaltamento. La questione centrale è quella dell’identità, della necessità di “darsi una forma” e di come questa si incontri o si scontri con le altre “forme” della società, innanzitutto quella economica, relativa all’accaparrarsi i mezzi per vivere, cioè il lavoro e allo spazio che resta aldilà di esso, cioè la vita. Nel suo rifiuto radicale della cultura del lavoro, Leonce e Lena è anche un’ode al desiderio e alla sua forza trasformativa nelle esistenze individuali e collettive, e un inno al godersi il proprio tempo.
Nel mondo disegnato da Buchner regna sovrana la noia, un potere smemorato si esprime nelle modalità della ripetizione, della piattezza e della sopraffazione. Quale strada si apre allora, se non quella della sottrazione, della fuga verso un altro mondo, verso un’Italia che qui rappresenta un locus amoenus dove si vive per la vita e non per la fatica? La destinazione non verrà raggiunta, ma, muovendosi in un percorso a spirale, i protagonisti giungeranno alla loro meta: un luogo dove poter immaginare, finalmente insieme, un programma in cui “gli orologi vengono distrutti, i calendari proibiti, e chiunque si vanti di guadagnare il proprio pane col sudore della fronte sia dichiarato pazzo pericoloso per la società umana ”.