Un volto, un racconto
Amedeo Rotondi (alias Amadeus Voldben)
Vetusta e polverosa com’era, la bottega del Signor R. avrebbe potuto – con la sua aria da «Libreria delle Occasioni» – ingannare chiunque ne avesse varcato la soglia da neofita, attirato magari dal bizzarro pot-pourri dei titoli seminuovi accatastati in vetrina. Da una serie di dettagli apparentemente insignificanti, primo fra tutti il sinistro cigolìo emesso dalla porta nel richiudersi alle nostre spalle, ben presto cominciammo, tuttavia, a renderci conto – non senza un filo di inquietudine – di essere capitati inconsapevolmente in una filiale dell’Altrove. Il locale, immerso tra le ataviche fuliggini di una Via Merulana da «pasticciaccio brutto», era sì angusto, ma non per questo – come ogni inferno che si rispetti – privo di fascino e di occulte malìe. Una luce fioca, soffusa, accarezzava gli scaffali di noce che – letteralmente traboccanti di libri e di riviste – coprivano le pareti fino al soffitto, sfidandone le ragnatele.
Il nostro disagio si accrebbe alla vista di un torvo commesso che, basco nero sulla testa, ci accolse, facendoci sobbalzare il cuore in gola, con un brusco «Desidera?», che suonava, piuttosto, come un «Fuori dai piedi!». Con sovrana nonchalance, degna di miglior causa, lo driblammo, per poi rifugiarci in un angolino buio, là dove il sesto senso ci suggeriva che avremmo trovato pane per i nostri denti da «bibliofaghi». Il «caso» – si fa per dire – volle che l’occhio ci cadesse sulla a dir poco introvabile editio princeps, in due tomi rilegati in pelle nera con impressioni in oro, della Demonologia del Conway, pubblicata a New York il «6 giugno del 1866», come da colophon. Già pregustavamo la gioia maligna che ci avrebbe dato lo sfogliare le pagine di quella preziosa «reliquia», nella pigra e comoda solitudo della nostra poltrona, quando una voce imperiosa, proveniente dal retro, ruppe l’idillio: «Non è in vendita!!!». Scoprimmo più tardi trattarsi, per l’appunto, della voce del Signor R., fondatore e titolare della suddetta libreria.
Della di lui presenza non ci eravamo, a dire il vero, minimamente accorti, anche perché il Signor R. non era tipo che si facesse notare più di tanto. Sedeva di solito al suo tavolino, tra bolle e fatture, impassibile, lo sguardo grifagno, una barba sale e pepe, la mente assorbita nella contemplazione dello Zero mistico. La prima volta che ci imbattemmo in lui, doveva avere appena oltrepassato gli ottanta e – tutto sommato – se li portava benone. In quell’occasione, a suon di ...mila lire, riuscimmo a far sì che egli superasse l’iniziale ritrosia, e ce ne tornammo a casa fischiettando, con sotto braccio l’agognata Demonologia, squattrinati ma felici!!! Oggi come oggi, possiamo forse vantarci di essere stati tra i più affezionati clienti del Signor R., con il quale, a forza di bazzicarne il vecchio antro, entrammo pure in una qualche familiarità, nonostante l’abissale differenza anagrafica che ci divideva.
Conoscendolo meglio, ci colpì in lui il tratto caratteristico e assai difficile da definire di un magnetismo fuori dal comune, alla Mesmer (tanto per capirci); un magnetismo che gli si leggeva negli occhi e nei modi sia del parlare che del comportarsi, come di chi coltivasse la perfetta coscienza dell’unità e dell’unicità del proprio essere in un mondo di «dormienti». Nondimeno inorridimmo — noi che eravamo cresciuti poppando latte e il Guénon de L’Erreur Spirite — quando ci giunse all’orecchio la notizia secondo la quale il Signor R. si dedicava a sedute medianiche nel suo mitico e (per noi) inaccessibile retrobottega. Venirlo a sapere ci infastidì alquanto, ma non certo perché volessimo parteciparvi anche noi, avendo sempre guardato allo spiritismo come alla «malattia infantile» dell’esoterismo. Nutrivamo, semmai, un sordo e malamente represso rancore per non essere stati ancora autorizzati – da colui che, nel bene e nel male, reputavamo un Maestro – a penetrare nel sancta sanctorum della libreria, nonostante il nostro lungo, paziente e assai dispendioso tirocinio «biblio-iniziatico».
Naturalmente, ci guardammo bene dal lamentarcene con il diretto interessato, e il Signor R. – autore, tra parentesi, di un pregevole saggio su L’arte del silenzio – fece altrettanto. Finché un giorno, mentre stavamo per abbandonare il negozio dopo aver fatto l’ennesima incetta di volumi e volumetti, egli – senza che glielo avessimo chiesto espressamente – ci sorrise e con fare enigmatico ci invitò a visitare, testuali parole, la sua «biblioteca personale». In quel retrobottega di Via Merulana, condotti per mano da un taciturno jerofante, ci calammo finalmente in una botola, dove, al cospetto delle prime edizioni di un Papus, di un Evola, di un Eliphas Lévi, di uno Schwaller de Lubicz, di un Sédir, di uno Swedenborg, di una Madame Blavatsky, come il Buddha sotto l’albero di loto – si parva licet componere magnis – pervenimmo, a nostro modo, all’«illuminazione». Il 21 ottobre del 1999, alla veneranda età di 91 anni, il Signor R. – libraio antiquario e psicopompo – lasciò questa valle di lacrime. Ne fummo purtroppo informati in ritardo. E mai potemmo, per una ragione o per un’altra, rivolgergli un «grazie». Lo facciamo adesso, pubblicamente, da queste colonne.
Angelo Iacovella