giovedì 1 marzo 2012

Bar Atlantic, di Bruno Osimo

“Se davvero la mia cultura me lo permettesse, trovare un orecchio in ascolto, depositare i miei peccati, e varcare la soglia dell’Esselunga alleggerito, e invece guardami qui, due borse pesanti e uno zainetto in spalla, i miei fardelli me li tengo, per sopportabili che siano, non c’è nessuno che allevia la mia sorte”.

Adàm è israeliano, ha trentacinque anni, vive in Italia da sette: professore di ebraico a contratto in cinque università. Vive a Milano con la moglie Hhava, si occupa della casa, di fare la spesa e cucinare, di soddisfare un'amante in ogni sede delle sue varie università. Con umorismo sottile e lucidità estrema, Bruno Osimo - con il suo "Bar Atlantic" (in libreria da oggi, primo marzo, per Marcos y Marcos) - scopre il nervo di una vita congelata nei dettagli, sovraccarica e svuotata, sospesa. Bar Atlantic è l'unico romanzo italiano con note del traduttore, del vetraio, dell'algologo e dell'imenologo; contiene diciassette poesie d'amore di Hum Mugdal; descrive minutamente orgasmi, bagni pubblici e ricette per la crema pasticcera. E' la storia di un precario della scuola, della vita, dell’amore: di un casalingo inquieto che venera sua moglie e ha un’amante diversa in cinque città.

“Non è che Adàm non sia religioso.
Adàm venera il corpo di Hhava, è
questa la sua fede, per questa lui è
disposto a sfidare il mondo, è questa
che gli permette di posare la testa,
quando è stanco”.

Adàm ogni giorno ricomincia da capo: un treno diverso, un’università diversa, una donna diversa. Il lunedì parte da Milano all’alba, aspetta la coincidenza a Tortona e va a insegnare ebraico ad Alessandria; poi, se i preliminari con Paola procedono senza intoppi, riesce a rientrare in tempo per fare la spesa e preparare la cena per la moglie Hhava. Il martedì a Bergamo potrebbe anche non andare, il compenso per le sue lezioni è troppo basso, ma a Bergamo c’è Monica, con il suo naso semitico, i suoi riccioli rossi, la sua voce roca, il suo accento irresistibile.

Il mercoledì a Pavia lo aspetta la collega Teresa, il giovedì a Treviso fa l’amore con Fernanda nel locale caldaia, il venerdì a Verona sale nel monolocale di Sasha con una fetta di torta altoatesina, ma il sabato finalmente si riposa: corre sul lungomare di Levanto, si ferma a scrivere una poesia al bar Sereno, sveglia la moglie con il profumo dei biscotti appena sfornati. Ogni settimana si ripete come una giostra infinita, come un viaggio in tondo da un microcosmo all’altro. Finché un giorno, del tutto inaspettata, si apre anche per lui una via di fuga: la speranza di un’unica vita, di un mondo solo, dove potersi abbandonare in pace. 

“Si avverte il lettore che non è stato possibile stabilire se questo libro sia stato tradotto o sia un originale”.

L'AUTORE
Bruno Osimo è nato a Milano e ha cominciato a orientarsi nella vita quando ha finalmente scoperto che la lingua parlata da sua madre – e spacciata per italiano corrente – era in realtà mammese, o tamponico, una lingua che non descrive la realtà come appare, ma come apparirebbe se non facesse paura.  Questa scoperta gli ha spalancato le porte della traduzione, che gradualmente è diventata per lui, da strategia di sopravvivenza, una vera professione. Ora traduce dall’inglese e dal russo, insegna traduzione, pubblica manuali sulla traduzione e studia l’ebraico perché è la lingua dei nonni dei nonni dei suoi nonni. Bruno Osimo va a correre all’alba ogni mattina, poi si ferma a scrivere e a parlare di poesia al bar Atlantic, ma le affinità con Adàm, il protagonista
di questo romanzo, si fermano qui. Della sua storia privata e deprivata parla a lungo nel suo romanzo precedente, "Dizionario affettivo della lingua ebraica".
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