Cesare Ragazzi avrebbe detto: “Un’idea meravigliosa”. Ma anche quella di molti ristoratori romani non scherza.
D’accordo, c’è la perdita del potere d’acquisto, l’inflazione che torna a galoppare (quella del nostro istituto statistico è bloccata sul 3,5%, ma si tratta di un indicatore mal concepito, con un paniere costruito in maniera tale da ponderare (cioè pesare) poco alcune voci. Alcuni esperti hanno richiesto di utilizzare altri indici, come il Deflettore del Pil, che valuta la differenza fra un anno - preso come base - e l’anno successivo, quindi mantenendo i prezzi costanti o l’Indice armonizzato europeo), i salari che non crescono (addirittura il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani ha recentemente parlato di una perdita “secca”, per i salariati, di mille euro all’anno). Ma qui sembra veramente che si stia esagerando.
Scena: cena in un locale grazioso della Garbatella (per i non romani e per chi non ha visto lo splendido film di Nanni Moretti, “Caro diario”), un tipico quartiere della capitale, un tempo popolare e adesso “chicchettino”, e balzato agli onori della cronaca grazie alla serie televisiva “I Cesaroni”. Attori: alcuni amici che si ritrovano per una serata al locale “L’acino brillo”, già frequentato in precedenza.
Discreta carta dei vini, portate sfiziose, ma subito l’occhio cade sui prezzi: decisamente alti e aumentati considerevolmente rispetto a qualche mese prima. Vabbè, ci ricordiamo che si mangia bene e per una volta intaccheremo le (magre) riserve economiche. Ed effettivamente si mangia ancora bene, peccato che il cuoco e la cucina abbiano preso alla lettera una proposta (per fortuna mai operativa) dell’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia, passato alla storia per il (sacrosanto) divieto di fumo nei locali pubblici e per una recente condanna giudiziaria (in primo grado) per concussione: ci hanno servito delle mezze porzioni. Pure scarse. Con prezzi ben più che interi.
Per gli antipasti microscopici dai 9 euro in su, per primi piatti anonimi e minuscoli 12-14 euro. Il tutto “condito” da un arredamento minimalista, con tovagliette di carta e posate d’acciaio. Tempo fa qui vigeva una succulenta abitudine: la casa offriva dei pre-antipasti e dei pre-dolci. Ora del pre-dolce (e dei dolcetti della casa) si è purtroppo persa traccia. Peccato. Insomma, tutto all’insegna del risparmio (nelle porzioni), ma non per il povero avventore.
Qualche giorno dopo, reintegrate le finanze e lo spirito, proviamo un altro locale, questa volta dietro la Tuscolana, grande arteria romana. Il posto si chiama “Quando voglio”. Anche qui discorso parallelo: un primo a dodici euro con due (dico due) cannelloncini farciti, della grandezza di 5 cm per due l’uno, una tagliata di manzo (per carità, buona) che si finiva in tre bocconi di numero, nonostante i 17 euro sborsati, antipasti che entravano comodamente in due gusci di noce. Stiamo parlando di portate che costano anche più delle vecchie 30mila lire l’una. Non vorrei sembrare nostalgica, ma pochi anni fa con la metà (15mila lire) si mangiava a sazietà nella più bella pizzeria romana, con birra, fritti e dolce (e ci scappava pure la mancia, questa sconosciuta) e con 25mila si andava in un signor ristorante, rimpinzandosi per bene con tutte le portate, l’acqua, il vino, il caffè e l’ammazza-caffè.
Ormai invece si sono fatti tutti furbi e puntano ad avere pochi clienti (così lavorano meno) e a guadagnare sempre tanto (mica scemi…).
PS: si può ovviamente estendere il discorso anche a tutte le altre categorie merceologiche, dai negozi di abbigliamento a quelli di scarpe, senza dimenticare gli alimentari, i casalinghi, le palestre….
Volete segnalare la vostra esperienza? Scrivetemi e integreremo insieme questa pagina.
Germana Brizzolari
germana.brizzolari@tiscali.it