lunedì 17 ottobre 2011

Le cinque rose di Jennifer


Sarà in scena dal 19 ottobre al 6 novembre al Teatro Dell'Orologio (Sala Grande, via de’ Filippini, 17/a, prenotazioni allo 06 9784 0472), come unico spettacolo sulla piazza romana a celebrare il 25° anniversario della scomparsa di Annibale Ruccello, "Le cinque rose di Jennifer", uno dei testi più belli del commediografo, attore e regista di Castellammare di Stabia. Protagonisti: Leandro Amato e Fabio Pasquini, per la regia di Agostino Marfella. 

La piéce, ambientata nella periferia di Napoli negli anni '70, racconta le storie di due travestiti: Jennifer (Leandro Amato) ed Anna (Fabio Pasquini), e il loro dramma della solitudine. Jennifer vive in un monolocale ed è malinconico, sensibile e romantico; terrorizzato dal serial killer che sta mietendo vittime nel suo quartiere, non esce più di casa da molto tempo, anche perché sta aspettando una telefonata da Franco, l'ingegnere di Genova con cui ha intrapreso una relazione tempo prima. Quando a casa sua arriva Anna, i due iniziano a raccontarsi i propri problemi. Una telefonata arriva, ma Jennifer liquida l'interlocutore senza troppi problemi... 

Secondo il regista, Agostino Marfella, "Le cinque rose di Jennifer , testo cult di Annibale Ruccello, con il tempo e le diverse edizioni, ha acquisito uno spessore stilistico che gli ha conferito il valore di un piccolo classico del teatro contemporaneo. L’autore, narrando le storie di vita di Jennifer e Anna, esprime il dramma amaro della solitudine. Aleggia nella vicenda un’atmosfera da thrilling psicologico, che tiene gli spettatori con il fiato sospeso, fino all’ultima battuta… Si muovono, attraverso essa, i due protagonisti, povere anime perdute, confinate in un ghetto metaforico, tesi alla ricerca disperata di una propria dimensione; pronti a riappropriarsi del pudore e della dignità violati e derubati dai finti valori “borghesi”.

Sono "disposti a tutto - continua Marfella - pur di elemosinare un po’ di affetto, fosse anche solo qualche parola attraverso il filo di un telefono. Il palcoscenico grida i pensieri di Jennifer , ossessivi e maniacali, mentre la sua maschera recita il suo ultimo delirio d’amore per Franco. Nel mettere in scena lo spettacolo ho sottolineato la ritualità del testo con atmosfere antinaturalistiche, ispirandomi, oltre a Genet, alla tradizione nordica dei Kammerspiel , (principalmente a Strindberg e ad Ibsen nella scena finale); la storia assume quindi i contorni di un lucido delirio, in cui la solitudine può trasformarsi, degradandosi, nello svilimento dei miti e dei modelli”.
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